Ad avviso del Consiglio di Stato, nelle zone di espansione residenziale (C) possono essere allocati volumi aventi destinazioni differenti (commerciali) a condizione che la volumetria residenziale rimanga prevalente, di Paolo Urbani

Il Cons. Stato, sez. IV, 22 luglio 2024, n. 6599ha affermato che nelle zone di espansione residenziale (C) possono essere allocati volumi aventi destinazioni differenti (commerciali) a condizione che la volumetria residenziale rimanga prevalente.

La società A presentava richiesta di variante al Piano di lottizzazione, in seguito adottata dal Consiglio comunale. La società B, titolare di un punto vendita, impugnava la suddetta deliberazione; nel frattempo, il Consiglio comunale approvava definitivamente la variante. Il TAR ha respinto il ricorso.

Avverso tale sentenza, la società A ha presentato appello, mentre la società B ha presentato appello incidentale in relazione alla statuizione con cui il TAR ha rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti di primo grado per difetto di legittimazione e di interesse ad agire della ricorrente.

Ad avviso del Consiglio di Stato, è possibile prescindere dall’esame delle eccezioni sollevate dalle parti resistenti, in quanto l’appello è infondato nel merito e deve essere respinto.

Va condiviso il rilievo del TAR secondo cui l’approvazione della variante al Piano di lottizzazione rientra nell’ipotesi contemplata dall’art. 15, comma 1, seconda parte della NTA del PPR (“Negli ambiti di paesaggio costieri di cui all’articolo 14, fino all’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alle previsioni del P.P.R., è consentita l’attività edilizia e la relativa realizzazione delle opere di urbanizzazione nelle zone omogenee A e B dei centri abitati e delle frazioni individuate dai Comuni ai sensi dell’articolo 9 della legge 24 dicembre 1954 n. 1228, purché delimitate ed indicate come tali negli strumenti urbanistici comunali. Sono altresì realizzabili in conformità ai vigenti strumenti urbanistici comunali gli interventi edilizi ricadenti nelle zone C immediatamente contigue al tessuto urbano consolidato ed interclusi da elementi geografici, infrastrutturali ed insediativi che ne delimitino univocamente tutti i confini”).

Al riguardo non è convincente l’interpretazione secondo cui tale ultima disposizione – con l’espressione “interventi edilizi” – avrebbe inteso riferirsi a progetti da realizzarsi in via diretta, ovvero previo semplice rilascio del permesso di costruire. Nelle zone di C di completamento è infatti richiesto sempre – salva l’ipotesi residuale di lotti totalmente interclusi dal punto di vista edilizio – lo strumento attuativo. A corroborare tale esegesi, sovviene l’esame complessivo della disposizione: per le “restanti zone C, D, F e G” l’ipotesi di piani già approvati, e con convenzione ancora efficace, in relazione ai quali è ammesso l’avvio e il completamento dell’edificazione, è infatti distinta da quella in esame ed è specificamente disciplinata dai commi successivi dell’art. 15, cit.

Quanto alla dedotta mancanza di verifica di assoggettabilità a VAS, non giova alla ricorrente invocare l’art 16, comma 5, della l.n.1150 del 1942, come da ultimo modificato, secondo cui “Lo strumento attuativo di piani urbanistici già sottoposti a valutazione ambientale strategica non è sottoposto a valutazione ambientale strategica né a verifica di assoggettabilità qualora non comporti variante e lo strumento sovraordinato in sede di valutazione ambientale strategica definisca l’assetto localizzativo delle nuove previsioni e delle dotazioni territoriali, gli indici di edificabilità, gli usi ammessi e i contenuti piani volumetrici, tipologici e costruttivi degli interventi, dettando i limiti e le condizioni di sostenibilità ambientale delle trasformazioni previste”. Nel caso in esame il PUC non è stato sottoposto a VAS e quindi, secondo l’appellante, lo strumento attuativo in esame doveva essere sottoposto a verifica di assoggettabilità a VAS. Va tuttavia osservato che la richiamata disposizione della L.U. fondamentale va coordinata con l’art.6, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 152 del 2006 secondo cui “Fatto salvo quanto disposto al comma 3, viene effettuata una valutazione per tutti i piani e i programmi: a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell’aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l’approvazione, l’autorizzazione, l’area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, II-bis, III e IV del presente decreto; b) per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione d’incidenza ai sensi dell’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni”.

Inoltre, secondo il comma 3 “Per i piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l’uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al comma 2, la valutazione ambientale è necessaria qualora l’autorità competente valuti che producano impatti significativi sull’ambiente, secondo le disposizioni di cui all’articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilità ambientale dell’area oggetto di intervento”.

Anche la verifica di assoggettabilità a VAS presuppone pertanto che il piano sia il “quadro di riferimento” di opere soggette a VIA ovvero che richiedano l’espletamento della VINCA.

Nel caso in esame, l’appellante sostiene che il Piano prevede la realizzazione di un centro commerciale, ipotesi contemplata nell’Allegato IV alla parte II, del Codice dell’ambiente. L’appellante, tuttavia, non ha saputo indicare in quale parte del progetto di Piano sia prevista la realizzazione di un centro commerciale. Nel caso in esame sono previste due medie strutture di vendita distinte tra loro che non possiedono le caratteristiche di un centro commerciale. L’appellante non ha in alcun modo confutato quanto risulta dagli elaborati di Piano né è stata in grado di dimostrare che l’area di intervento prevede opere soggette a VINCA o comunque sia inclusa in un SIC o ZPS.

Correttamente pertanto, il primo giudice, ha ritenuto che nella fattispecie in esame trovino piana applicazione le Linee Guida regionali per la Valutazione Ambientale Strategica dei Piani Urbanistici Comunali, le quali al chiariscono al par. 2.2.1 “Verifica di assoggettabilità” (pagg. 26-27) che “Non sono da sottoporre a procedura di verifica: […] i piani attuativi conformi ai relativi piani urbanistici comunali non sottoposti a VAS, purché non contengano opere soggette alle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale o a Valutazione di Incidenza, secondo la vigente normativa”.

Per quanto riguarda la possibilità di insediare volumetrie commerciali in zona C, non è contestato che la declaratoria delle zone C prevista dal c.d. “decreto Floris” sia stata applicata dalla Regione nel senso di consentire che nelle zone di espansione residenziale possano essere allocati volumi aventi destinazioni differenti a condizione che la volumetria residenziale rimanga, comunque, prevalente.

La motivazione delle scelte urbanistiche implicate dall’approvazione dello strumento urbanistico in esame si ricava dalle linee generali di impostazione della variante.

Giova altresì richiamare i principi consolidati nella giurisprudenza amministrativa secondo cui:

– le scelte di pianificazione urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità;

– in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le decisioni dell’Amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali – di ordine tecnico discrezionale – seguiti nell’impostazione del piano stesso (cfr. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 22 dicembre 1999, n. 24, nonché, ex multis, Cons. Stato, IV, 19 novembre 2018, n. 6483; id., 28 giugno 2018, n. 3987).

In questo caso, infatti, viene in considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in peius delle destinazioni di zona edificabili, cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica, ed analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspiri ad una utilizzazione più proficua del proprio immobile.

Inoltre:

– l’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710);

– la motivazione delle scelte urbanistiche, sufficientemente espressa in via generale, è desumibile sia dai documenti di accompagnamento all’atto di pianificazione urbanistica, sia dalla coerenza complessiva delle scelte effettuate dall’Amministrazione comunale (Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2014, n. 1459);

– una motivazione “rafforzata” è richiesta solo in presenza di superamento degli standard urbanistici minimi, di una convenzione di lottizzazione ancora efficace o di un accordo equivalente, di pronunce di annullamento di diniego di permesso di costruire o di silenzio inadempimento, passate in giudicato (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 4343 del 25 giugno 2019).

Quanto al rilievo secondo cui l’inserimento di due medie struttura di vendita in zona C altererebbe l’equilibrio complessivo del PUC, esso è rimasto del tutto generico.

Né vi è contraddizione tra il riconoscimento da parte del TAR della legittimazione ad agire dell’appellante – in virtù della vicinitas commerciale – ed il riscontro della legittimità dell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica.

Le censure relative all’adeguamento al PAI sono smentite dalla documentazione in atti da cui risulta che il Comune ha operato in conformità delle disposizioni secondo cui “Indipendentemente dall’esistenza di aree perimetrate dal PAI, in sede di adozione di nuovi strumenti urbanistici anche di livello attuativo e di varianti generali agli strumenti urbanistici vigenti i Comuni – tenuto conto delle prescrizioni contenute nei piani urbanistici provinciali e nel piano paesistico regionale relativamente a difesa del suolo, assetto idrogeologico, riduzione della pericolosità e del rischio idrogeologico – assumono e valutano le indicazioni di appositi studi di compatibilità idraulica e geologica e geotecnica, predisposti in osservanza dei successivi articoli 24 e 25, riferiti a tutto il territorio comunale o alle sole aree interessate dagli atti proposti all’adozione. Le conseguenti valutazioni comunali, poste a corredo degli atti di piano costituiscono oggetto delle verifiche di coerenza di cui all’articolo 32 commi 3, 5, della legge regionale 22.4.2002, n. 7 (legge finanziaria 2002)”.

Inoltre, l’appellante non ha fornito alcun principio di prova dell’ipotizzata eventuale, perdurante incoerenza tra il Piano approvato e il PAI.

Del tutto generica e, comunque, priva di qualsivoglia supporto probatorio, è infine la censura secondo cui la celerità dei tempi di approvazione del Piano in esame sarebbe in realtà sintomatica dello sviamento della funzione amministrativa.

In definitiva, per quanto sopra argomentato, l’appello deve essere respinto.

Ne consegue l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, dell’appello incidentale.