La Consulta ha cassato la disciplina pugliese sull’esclusione dei parcheggi ad uso pubblico e temporaneo dalla tutela ambientale e paesaggistica, di Paolo Urbani

La Corte costituzionale, 10 maggio 2024, n. 82 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Puglia 4 luglio 2023, n. 19.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 4 della legge reg. Puglia n. 19 del 2023, che, sotto la rubrica «[p]archeggi a uso pubblico e temporaneo», prevede quanto segue: «[s]ino al 31 dicembre 2023, le aree a parcheggio a uso pubblico e temporaneo non superiore a centoventi giorni, comprese tra le attività di cui all’articolo 6, comma 1, lettera e-bis), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia[. Testo A]), sono escluse dalle procedure di valutazione ambientale e paesaggistica a condizione che entro e non oltre trenta giorni dal termine del relativo utilizzo sia garantito il ripristino dello stato dei luoghi».

Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».

La questione è promossa sotto due profili.

In primo luogo, il legislatore regionale avrebbe introdotto un’illegittima deroga alle disposizioni relative all’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 cod. beni culturali, il cui rispetto è implicitamente previsto dall’art. 6, comma 1, t.u. edilizia nel disciplinare gli interventi realizzabili senza titolo abilitativo.

In secondo luogo, la disposizione regionale impugnata si applicherebbe a tutti i parcheggi di uso pubblico e temporaneo non superiore a centoventi giorni, a prescindere dal numero di posti auto, escludendo in ogni caso che essi siano soggetti a procedure di valutazione ambientale e ponendosi così in contrasto con l’Allegato IV alla Parte seconda del codice dell’ambiente, che al punto 7 (Progetti di infrastrutture), lettera b), prevede che i progetti dei «parcheggi di uso pubblico con capacità superiori a 500 posti auto» siano sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza delle regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, senza distinguere tra temporaneità o meno dell’uso.

Nel merito, la questione è fondata sotto entrambi i profili sopra indicati.

Come si è detto, il ricorrente lamenta, in primo luogo, che l’art. 4 della legge reg. Puglia n. 19 del 2023 avrebbe introdotto una deroga alle disposizioni relative all’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 cod. beni culturali.

La disposizione impugnata ha previsto, per le aree in oggetto, l’esclusione sino al 31 dicembre 2023 «dalle procedure di valutazione […] paesaggistica». Tale locuzione comprende il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione di cui al citato art. 146, che è preordinato alla verifica della compatibilità dell’intervento progettato con l’interesse paesaggistico tutelato (comma 3), nonché alla verifica della sua conformità alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico o alla specifica disciplina di cui all’art. 140, comma 2, cod. beni culturali (comma 8).

L’esclusione «dalle procedure di valutazione […] paesaggistica» equivale, dunque, a un’esenzione dal procedimento autorizzatorio, in deroga alla norma statale interposta indicata dal ricorrente.

L’art. 4 della legge reg. Puglia n. 19 del 2023 prevede che le «aree a parcheggio a uso pubblico e temporaneo» devono essere comprese tra le attività di cui all’art. 6, comma 1, lettera e-bis), t.u. edilizia. L’alinea di tale comma prevede, a sua volta, che gli interventi di edilizia libera (elencati nelle successive lettere dello stesso comma 1) siano sì eseguiti «senza alcun titolo abilitativo», ma «[f]atte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonch[é] delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».

Pertanto, è la medesima disposizione regionale impugnata a richiedere che, per beneficiare dell’esclusione dalle procedure di valutazione ambientale e paesaggistica, la realizzazione dei parcheggi a uso temporaneo sia qualificabile come attività edilizia libera, ciò che in ogni caso comporta – in forza della clausola di salvezza di cui al citato art. 6, comma 1, t.u. edilizia – il rispetto delle disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano l’autorizzazione paesaggistica.

Al riguardo, la Regione oppone due tesi difensive, entrambe volte a dimostrare che l’impugnato art. 4 disciplinerebbe attività in ogni caso non soggette ai procedimenti di autorizzazione paesaggistica. Il loro separato esame ne rivela la non fondatezza.

In primo luogo, la Regione osserva che l’art. 6, comma 1, t.u. edilizia dovrebbe essere interpretato in modo che possa avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbe alcuno. Seguendo le ragioni esposte dal ricorrente, invece, la previsione che consente l’esecuzione senza alcun titolo abilitativo degli interventi di cui alla lettera e-bis) dello stesso art. 6, comma 1, mancherebbe di effettiva utilità, non potendo essere applicata nelle aree vincolate paesaggisticamente. In riferimento ad esse, infatti, gli interventi sopra indicati non potrebbero essere concretamente realizzati, «atteso che i tempi di rilascio del nullaosta paesistico esaurirebbero la durata stessa delle opere stagionali e temporanee, traducendosi in un antieconomico ed illogico aggravamento procedimentale», tanto più evidente nel caso, disciplinato dal legislatore regionale, dei «soli parcheggi “estivi” per non più di centoventi giorni e fino al 31 dicembre 2023».

Questa tesi non è condivisibile.

Nulla consente la prospettata interpretazione dell’art. 6, comma 1, lettera e-bis), t.u. edilizia. Il dato letterale dell’alinea del comma 1 depone inequivocamente nel senso della necessità che tutte le opere di edilizia libera elencate nello stesso comma siano conformi, senza distinzioni, alle prescrizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, non comportando la riconduzione a siffatta categoria di opere, di per sé, alcuna sottrazione alle valutazioni paesaggistiche (in tal senso, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenze 7 febbraio 2024, n. 1237 e 9 giugno 2023, n. 5690).

Neppure la stagionalità o la precarietà delle opere indicate nella lettera e-bis) giustifica tale sottrazione, in quanto ciò equivarrebbe, nel caso di aree vincolate, ad una irragionevole limitazione temporale della tutela paesaggistica.

Né si può ritenere che, così interpretata, la norma non produca effetti utili in relazione alle opere stagionali o precarie rientranti nella nozione di attività edilizia libera. Manca ogni evidenza dell’assoluta e oggettiva impossibilità della loro esecuzione in attesa dei tempi necessari per la definizione dei procedimenti di autorizzazione paesaggistica, considerando anche che i singoli interventi di cui alla lettera e-bis) ben possono rientrare, per le loro concrete caratteristiche, nella sfera di applicazione del procedimento autorizzatorio semplificato, che si connota per la riduzione dei tempi di definizione e per il ricorso a meccanismi di formazione del silenzio-assenso.

La Regione sostiene, inoltre, che l’art. 6, comma 1, t.u. edilizia si dovrebbe interpretare «in coordinato disposto» con l’art. 2 del d.P.R. n. 31 del 2017, secondo il quale «[n]on sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di cui all’Allegato “A”». Tale Allegato ricomprende, al punto A.16, gli interventi di «occupazione temporanea di suolo privato, pubblico o di uso pubblico mediante installazione di strutture o di manufatti semplicemente ancorati al suolo senza opere murarie o di fondazione, per manifestazioni, spettacoli, eventi o per esposizioni e vendita di merci, per il solo periodo di svolgimento della manifestazione, comunque non superiore a 120 giorni nell’anno solare»: interventi cui sarebbero riconducibili, secondo la Regione, le occupazioni di suolo mediante la realizzazione di parcheggi di uso pubblico per un periodo non superiore a centoventi giorni.

Andrebbero considerate, ad avviso della difesa regionale, anche le previsioni dell’Allegato B allo stesso d.P.R. n. 31 del 2017, che annovera tra gli «interventi di lieve entità», soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato:

– al punto B.11, gli «interventi puntuali di adeguamento della viabilità esistente», compresa la «realizzazione di parcheggi a raso con fondo drenante o che assicuri adeguata permeabilità del suolo» (cioè, secondo la Regione, parcheggi stabili e permanenti con opere fisse di trasformazione dello stato dei luoghi);

– al punto B.25, l’«occupazione temporanea di suolo privato, pubblico, o di uso pubblico, mediante installazione di strutture o di manufatti semplicemente ancorati al suolo senza opere murarie o di fondazione per manifestazioni, spettacoli, eventi, o per esposizioni e vendita di merci, per un periodo superiore a 120 e non superiore a 180 giorni nell’anno solare».

Se dunque – conclude la Regione – sono opere di lieve entità, soggette ad autorizzazione semplificata, sia i parcheggi «a raso con fondo drenante o che assicuri adeguata permeabilità del suolo», sia le occupazioni dei suoli per un periodo compreso fra centoventuno e centottanta giorni, allora i parcheggi di durata fino a centoventi giorni dovrebbero a maggior ragione rientrare tra le opere non soggette ad autorizzazione paesaggistica già in base alla normativa statale, rispetto alla quale la disposizione regionale impugnata sarebbe «del tutto coerente ed allineata, e semplicemente attuativa».

Anche questa tesi non è condivisibile.

Le «aree a parcheggio a uso pubblico e temporaneo» previste dalla disposizione regionale impugnata non sono infatti riconducibili, in quanto tali, agli interventi e alle opere esclusi dall’autorizzazione paesaggistica di cui al punto A.16 del citato Allegato A, poiché l’occupazione temporanea di suolo ivi prevista deve essere realizzata per lo svolgimento di «manifestazioni, spettacoli, eventi o per esposizioni e vendita di merci», mentre le aree di parcheggio di cui si discute non sono destinate a tali specifiche finalità.

Inoltre, non è escluso che i parcheggi in questione rientrino nella categoria delle opere soggette ad autorizzazione semplificata di cui al punto B.11 dell’Allegato B, poiché anch’essi possono consistere in «interventi puntuali di adeguamento della viabilità esistente», per fare fronte a esigenze temporanee di congestione del traffico, ed essere realizzati «a raso con fondo drenante o che assicuri adeguata permeabilità del suolo», per garantirne un minor impatto sul territorio, senza per questo impedire il ripristino dei luoghi al termine dell’utilizzo.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, «la conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all’articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato» (tra le molte, sentenze n. 160 del 2021, n. 178 e n. 172 del 2018 e n. 103 del 2017).

Con specifico riferimento al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, questa Corte ha altresì costantemente affermato che la legislazione regionale non può prevedere una procedura diversa da quella dettata dalla legge statale, perché alle regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, fra i quali rientra l’autorizzazione paesaggistica (sentenze n. 160 e n. 74 del 2021, n. 189 del 2016, n. 238 del 2013, n. 235 del 2011, n. 101 del 2010 e n. 232 del 2008).

La competenza legislativa esclusiva statale risponde, infatti, a ineludibili esigenze di tutela e sarebbe vanificata dall’intervento di una normativa regionale che sancisse in via indiscriminata l’irrilevanza paesaggistica di determinate opere, così sostituendosi all’apprezzamento che compete alla legislazione statale (sentenze n. 74 del 2021 e n. 246 del 2017). Spetta dunque alla legislazione statale determinare presupposti e caratteristiche dell’autorizzazione paesaggistica, delle eventuali esenzioni e delle semplificazioni della procedura, in ragione della diversa incidenza delle opere sul valore intangibile dell’ambiente (ancora sentenze n. 74 del 2021 e n. 246 del 2017).

Il legislatore regionale, infatti, non può introdurre disposizioni che esentano talune opere dall’autorizzazione paesaggistica, perché si sostituirebbe in tal modo all’apprezzamento che compete solo al legislatore statale, in ragione della diversa incidenza delle opere sul valore intangibile dell’ambiente.

Non rileva, infine, che l’esenzione sia limitata nel tempo (sino al 31 dicembre 2023, come si è visto), in quanto spetterebbe comunque allo Stato stabilirne, oltre ai presupposti, anche la durata, per la sua incidenza su un istituto di protezione ambientale uniforme.

Alla luce di questi principi, l’art. 4 della legge reg. Puglia n. 19 del 2023 integra, sotto il profilo qui esaminato, la violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Con il secondo profilo di censura, il ricorrente lamenta che l’art. 4 della legge reg. Puglia n. 19 del 2023 violerebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia ambientale, contrastando con il punto 7, lettera b), dell’Allegato IV alla Parte seconda del codice dell’ambiente, secondo cui i progetti dei «parcheggi di uso pubblico con capacità superiori a 500 posti auto» sono sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza delle regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.

La verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale (VIA), nota anche come screening, consiste nella «verifica attivata allo scopo di valutare, ove previsto, se un progetto determina potenziali impatti ambientali significativi e negativi e deve essere quindi sottoposto al procedimento di VIA secondo le disposizioni di cui al Titolo III della parte seconda» del codice dell’ambiente (in particolare, dell’art. 5, comma 1, lettera m).

Essa viene effettuata (come la VIA) ai diversi livelli istituzionali, tenendo conto dell’esigenza di razionalizzare i procedimenti ed evitare duplicazioni nelle valutazioni (art. 7-bis, comma 1, cod. ambiente).

Per individuare tali diversi livelli istituzionali, il legislatore ha rinviato ad alcuni allegati alla Parte seconda del codice dell’ambiente, prevedendo che «[s]ono sottoposti a verifica di assoggettabilità a VIA in sede statale i progetti di cui all’allegato II-bis» e che «[s]ono sottoposti a verifica di assoggettabilità a VIA in sede regionale i progetti di cui all’allegato IV» (art. 7-bis, commi 2 e 3, cod. ambiente).

L’Allegato IV, recante «Progetti sottoposti alla Verifica di assoggettabilità di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano», contempla al punto 7 una serie di «[p]rogetti di infrastrutture», tra i quali, alla lettera b), i seguenti: «progetti di sviluppo di aree urbane, nuove o in estensione, interessanti superfici superiori ai 40 ettari; progetti di riassetto o sviluppo di aree urbane all’interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari; costruzione di centri commerciali di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59”; parcheggi di uso pubblico con capacità superiori a 500 posti auto».

Questo assetto normativo è il risultato della riforma del codice dell’ambiente di cui al decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114) e delle successive modifiche apportate dal cosiddetto “decreto semplificazioni” (decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, recante «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale», convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120).

Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, «[l]a disciplina recata dal cod. ambiente e […] il suo art. 7-bis sono […] stati adottati dallo Stato sulla base del titolo di competenza esclusiva nella materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”» (sentenza n. 93 del 2019).

In particolare, «l’obbligo di sottoporre il progetto alla procedura di VIA o, nei casi previsti, alla preliminare verifica di assoggettabilità a VIA, rientra nella materia della “tutela ambientale”» (sentenze n. 232 del 2017 e n. 215 del 2015; nello stesso senso, tra le tante, sentenze n. 234 e n. 225 del 2009) e rappresenta «nella disciplina statale, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme che si impone sull’intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di altre materie di competenza regionale (tra le altre, sentenze n. 120 del 2010, n. 249 del 2009 e n. 62 del 2008)» (sentenza n. 232 del 2017).

Di conseguenza, «[l]a disciplina dei procedimenti di verifica ambientale è […] riservata in via esclusiva alla legislazione statale (sentenza n. 178 del 2019; da ultimo, sentenza n. 258 del 2020), che rintraccia il punto di equilibrio tra l’esigenza di semplificazione e di accelerazione del procedimento amministrativo, da un lato, e la “speciale” tutela che deve essere riservata al bene ambiente, dall’altro (sentenze n. 106 del 2020 e n. 246 del 2018)» (sentenza n. 53 del 2021).

Con specifico riguardo alle procedure di valutazione ambientale riservate dal codice dell’ambiente alla competenza legislativa regionale (nella specie, alla procedura di VIA, ma con considerazioni estensibili a quella di verifica di assoggettabilità a VIA), questa Corte ha affermato, inoltre, che «la “puntuale disciplina del procedimento dettata dal legislatore statale, la dettagliata definizione delle fasi e dei termini che conducono al rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale concorrono a creare una cornice di riferimento che, sintetizzando i diversi interessi coinvolti, ne individua un punto di equilibrio, che corrisponde anche a uno standard di tutela dell’ambiente” (sentenza n. 106 del 2020), in quanto tale non derogabile da parte delle legislazioni regionali» (ancora sentenza n. 53 del 2021).

Nello scrutinare la legittimità costituzionale di una disposizione regionale che consentiva di escludere dalla verifica di assoggettabilità a VIA regionale i progetti di impianti eolici con potenza complessiva nominale superiore a 1 MW e di impianti per conversione fotovoltaica (compresi nel citato Allegato IV alla Parte seconda del codice dell’ambiente, punto 2, rispettivamente lettere d e b), questa Corte ha poi affermato che «[n]on spetta […] alle Regioni decidere quali siano le condizioni che determinano l’esclusione dalle verifiche d’impatto ambientale», in quanto, «sebbene la competenza esclusiva statale prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. non escluda aprioristicamente interventi regionali, anche legislativi, “è tuttavia necessario che ciò avvenga in termini di piena compatibilità con l’assetto normativo individuato dalla legge statale, non potendo tali interventi alterarne il punto di equilibrio conseguito ai fini di tutela ambientale” (sentenza n. 178 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 147 del 2019)» (sentenza n. 258 del 2020).

A quest’ultimo riguardo, si è precisato che il codice dell’ambiente, all’art. 7-bis, comma 8, riconosce sì uno spazio di intervento alle regioni e province autonome, ma «ne definisc[e] tuttavia il perimetro d’azione in ambiti specifici e puntualmente precisati», in quanto «[g]li enti regionali […] possono disciplinare, “con proprie leggi o regolamenti l’organizzazione e le modalità di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA”, stabilendo “regole particolari ed ulteriori” solo e soltanto “per la semplificazione dei procedimenti, per le modalità della consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonché per la destinazione […] dei proventi derivanti dall’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie” (sentenza n. 198 del 2018)», con la conseguenza che, «[f]uori da questi ambiti, [è] dunque preclusa alle Regioni, quale che sia la competenza che […] adducano, la possibilità di incidere sul dettato normativo che attiene ai procedimenti di verifica ambientale così come definito dal legislatore nazionale» (sentenza n. 178 del 2019).

La disposizione impugnata ha previsto per le aree in oggetto l’esclusione anche «dalle procedure di valutazione ambientale», locuzione che comprende il procedimento di verificazione di assoggettabilità a VIA di cui ai citati artt. 7-bis e 19 cod. ambiente.

In particolare, vi è compresa la verifica di assoggettabilità a VIA di competenza delle regioni e delle province autonome prevista dall’Allegato IV alla Parte seconda del codice dell’ambiente (richiamato al comma 3 dell’art. 7-bis), cui sono assoggettati, tra gli altri, i progetti relativi ai «parcheggi di uso pubblico con capacità superiori a 500 posti auto» (punto 7, lettera b).

Da un lato, la disciplina statale non distingue tra temporaneità o meno dell’uso (pubblico), ma solo tra le «capacità» dei parcheggi, obbligando alla verifica di assoggettabilità a VIA i progetti che prevedono più di 500 posti auto.

D’altro lato, l’art. 4 della legge reg. Puglia n. 19 del 2023 non contiene alcun limite al numero dei posti auto, né la suddetta «capacità» è incompatibile con la natura stagionale o precaria dei parcheggi, che potrebbero raggiungere simili dimensioni anche per esigenze temporanee.

La Regione si difende osservando, innanzi tutto, che l’incipit dell’art. 6, comma 1, t.u. edilizia «non richiama specificamente il Codice dell’Ambiente». Tale affermazione sembra voler significare che il citato art. 6, comma 1, non facendo specificamente salve le disposizioni del cod. ambiente, consentirebbe di evitarne il rispetto nel realizzare gli interventi di edilizia libera, tra i quali devono essere compresi i parcheggi disciplinati dall’art. 4 della legge reg. Puglia n. 19 del 2023.

La tesi non è condivisibile, perché le norme di tutela ambientale di cui al d.lgs. n. 152 del 2006 rientrano nel novero «delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia», il cui rispetto è fatto salvo, in generale, dall’art. 6, comma 1, t.u. edilizia.

Inoltre, la Regione ripropone la tesi dell’incompatibilità dei tempi delle procedure valutative con la durata delle opere stagionali o precarie. Al riguardo, si richiamano le osservazioni già svolte (vedi sopra, punto 5.1.1.), dovendosi qui aggiungere che anche i tempi della verifica di assoggettabilità a VIA (che variano da un minimo di ottanta a un massimo di centoquindici giorni, a seguito della sensibile riduzione della durata del procedimento disposta dal citato “decreto semplificazioni”) non comportano un’oggettiva e assoluta impossibilità di realizzare e utilizzare, nel rispetto dei termini previsti, i parcheggi di cui si discute.

Infine, secondo la Regione, si dovrebbe considerare che la norma statale assunta a parametro interposto «esonera dalla valutazione di impatto ambientale i parcheggi fino a cinquecento posti, anche se stabili». L’argomento è irrilevante, perché la disposizione regionale è impugnata proprio in quanto esclude dalla verifica di assoggettabilità a VIA di competenza regionale i parcheggi temporanei con «capacità» superiore, in contrasto con la normativa ambientale. I parcheggi fino a 500 posti, infatti, non rientrano nella sfera di applicazione dell’art. 4 della legge reg. Puglia n. 19 del 2023, poiché per essi l’esclusione dalla procedura valutativa di competenza regionale è già prevista (senza limiti di tempo) dalla disciplina statale.

Ciò posto, e alla luce dei principi stabiliti dalla giurisprudenza costituzionale in materia, sussiste anche sotto questo profilo la violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non spettando alla Regione decidere quali siano i presupposti e le condizioni che determinano l’esclusione dalle verifiche d’impatto ambientale. Simili interventi, infatti, alterano il punto di equilibrio fissato dallo Stato tra l’esigenza di semplificazione e di accelerazione del procedimento amministrativo, da un lato, e la speciale tutela che deve essere riservata al bene ambiente, d’altro lato. Punto di equilibrio che corrisponde anche a uno standard di tutela dell’ambiente, in quanto tale non derogabile da parte delle legislazioni regionali.

In conclusione, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Puglia n. 19 del 2023.