La ristrutturazione di immobili vincolati, di Fabio Cusano

Il TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 28 marzo 2024, n. 256 ribadisce che il concetto di “ristrutturazione edilizia” assume connotati particolari e molto più restrittivi allorché vengano in considerazione immobili sottoposti a vincolo culturale o paesaggistico. Ed infatti, in forza della norma prevista dall’art. 3, D.P.R. 380/2001, comma 1, lett. d), i lavori implicanti demolizione e ricostruzione di manufatti preesistenti, mentre in linea generale rientrano nel concetto di ristrutturazione edilizia anche qualora implichino modifica della sagoma e dei prospetti, nel caso di beni sottoposti a vincolo culturale o paesaggistico sono qualificabili come interventi di ristrutturazione edilizia soltanto a condizione che non comportino modifiche alla sagoma, ai prospetti, al sedime e alle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non determinino incrementi volumetrici. In particolare, per “sagoma” si intende la conformazione planivolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti; mentre il prospetto individua gli sviluppi in verticale dell’edificio e quindi la facciata dello stesso, rientrando nella fattispecie anche le aperture presenti sulle pareti esterne.

Il ricorrente impugnava il diniego di sanatoria e ne chiedeva l’annullamento.

Secondo il ricorrente, l’intervento oggetto di sanatoria sarebbe qualificabile come “ristrutturazione edilizia” (ammissibile in zona), e non – come ritenuto dall’amministrazione – come “nuova costruzione” (non ammissibile), avendo riguardato un insieme di opere comprensive di demolizioni e ricostruzioni, ma sostanzialmente rispettose dell’organismo originario, senza alcun aumento volumetrico; anzi, l’intervento avrebbe persino ridotto la volumetria preesistente.

Sotto tali profili, il provvedimento impugnato sarebbe fondato su una motivazione generica.

Né sarebbe applicabile, nel caso di specie, il disposto di cui all’art. 3 comma 1 lett. d) ultimo periodo del D.P.R. n. 380/2021 – laddove si prevede che, in relazione agli immobili sottoposti a vincolo culturale o paesistico, gli interventi edilizi possono essere qualificati di “ristrutturazione edilizia” soltanto nel caso in cui siano mantenuti sagoma e sedime dell’edificio preesistente – dal momento che l’operatività di tale condizione sarebbe circoscritta dalla norma agli “interventi di demolizione e ricostruzione e (a)gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti”, fattispecie che non ricorrerebbe nel caso di specie. Nel caso di specie, infatti, l’intervento in questione si sarebbe limitato a ricomporre diversamente i volumi dell’edificio preesistente, mantenendo inalterato l’organismo originario nelle parti principali, laddove la norma richiamata si applicherebbe soltanto agli interventi di “integrale” demolizione e ricostruzione.

La censura, osserva il Collegio, non può essere condivisa.

L’art. 3 comma 1 lett. d) del D.P.R. 380 del 2011 prevede che per “interventi di ristrutturazione edilizia” si intendono, in linea generale, “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”. La norma precisa che, nell’ambito di tale definizione di carattere generale, “sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche (…)”, aggiungendo che “L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”.

Peraltro, il concetto di “ristrutturazione edilizia” assume connotati particolari e molto più restrittivi allorché vengano in considerazione immobili sottoposti a vincolo culturale o paesaggistico. L’ultimo periodo della norma in esame, infatti, prevede che “Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, (…) gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.

In forza di tale previsione, i lavori implicanti demolizione e ricostruzione di manufatti preesistenti, mentre in linea generale rientrano nel concetto di ristrutturazione edilizia anche qualora implichino modifica della sagoma e dei prospetti, nel caso di beni sottoposti a vincolo culturale o paesaggistico sono qualificabili come interventi di ristrutturazione edilizia soltanto a condizione che non comportino modifiche alla sagoma, ai prospetti, al sedime e alle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non determinino incrementi volumetrici (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, Sentenza, 12/10/2017, n. 4728; T.A.R. Brescia, Sez. I, Sentenza, 23/02/2016, n. 284; T.A.R. Sardegna Cagliari, Sez. II, 31/01/2018, n. 53)

Per “sagoma” si intende, in linea con l’insegnamento giurisprudenziale, la conformazione planivolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti; mentre il prospetto individua gli sviluppi in verticale dell’edificio e quindi la facciata dello stesso, rientrando nella fattispecie anche le aperture presenti sulle pareti esterne (cfr. tra le tante Cons. Stato, sez. VI, 7 giugno 2021, n. 4307; T.A.R., Napoli, sez. VIII, 27 marzo 2023, n. 1881; T.A.R. Catania, sez. II, 1 marzo 2023, n. 660; T.A.R. Firenze, Sez. III, 21/01/2014, n. 156).

Nel caso di specie, l’immobile di proprietà del ricorrente, oggetto dell’istanza di sanatoria denegata dall’amministrazione con il provvedimento impugnato, è sottoposto a vincolo paesaggistico. La circostanza non è contestata. Pertanto, gli interventi di ristrutturazione edilizia implicanti demolizioni e ricostruzioni soggiacciono al vincolo del rispetto di sagoma, prospetti, sedime e volume. Gli accertamenti istruttori svolti dall’amministrazione comunale attestano che tale vincolo non è stato rispettato. Come emerge, infatti, dall’articolata motivazione del provvedimento impugnato – corredata di tavole di raffronto e di sovrapposizione dello stato originario dell’immobile e di quello conseguito all’intervento – quest’ultimo si è articolato in una serie di demolizioni parziali dell’edificio preesistente, con conseguenti ricostruzioni dei volumi demoliti in altra zona del sedime con diversa forma e aumento di superficie.

La motivazione del provvedimento impugnato descrive nel dettaglio gli interventi eseguiti.

In tale contesto, giustamente l’amministrazione ha rilevato che, delle due l’una:

– o si tratta di una “nuova costruzione”, non ammissibile in zona in base alle norme di attuazione dello strumento urbanistico, che ammettono esclusivamente interventi di carattere conservativo estesi fino alla ristrutturazione edilizia (art. 8.7 NTA del Piano delle Regole del PGT);

– oppure di una ristrutturazione edilizia c.d. “pesante” con modifica di sagoma, sedime e volumi, anch’essa non ammissibile su di un bene sottoposto a vincolo paesaggistico, ex art. 3 comma 1 lett. d) D.P.R. 380 del 2001.

La tesi di parte ricorrente secondo cui la norma da ultimo citata si applicherebbe soltanto al caso della demolizione “integrale” dell’edificio preesistente non ha alcun fondamento, né nella lettera della disposizione, nella quale non si rinviene alcuna specificazione in tal senso, né tanto meno nella sua ratio, che è quella di preservare i beni sottoposti a vincolo paesaggistico o culturale nella loro consistenza originaria, quanto a sagoma, prospetti, sedime e volumi, pur nell’ambito di interventi di rinnovamento dell’edificio.

Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso va respinto.