Le conseguenze della scadenza della validità del piano di lottizzazione, di Fabio Cusano

Il Cons. Stato, sez. IV, 8 aprile 2024, n. 3192 ha ribadito che la scadenza della validità del piano di lottizzazione determina il venir meno dei presupposti dello ius aedificandi e della posizione qualificata del lottizzante e comporta l’inefficacia di tutte le previsioni del piano di lottizzazione che non hanno avuto concreta attuazione. Ne consegue che nell’ipotesi di scadenza della lottizzazione si riespande l’originario ius aedificandi con i caratteri primigeni; la scadenza del piano relativo implica la riappropriazione, da parte del Comune, dei suoi poteri d’ordinamento e di gestione del territorio con il connesso obbligo dei proprietari dei singoli lotti inedificati, insistenti nel comprensorio di un piano di lottizzazione ormai scaduto, al pagamento degli oneri di urbanizzazione, qualora la concessione edilizia sia assentita in via del tutto autonoma da tale programma costruttivo.

La questione controversa riguarda la richiesta del Comune appellato di corrispondere gli oneri di urbanizzazione per il rilascio di permessi di costruire a fronte di quanto pattuito in sede di convenzione di lottizzazione.

Ai fini della ricostruzione della questione controversa occorre preliminarmente tenere presente quanto segue:

In relazione alle convenzioni di lottizzazione:

– il Comune appellato ha stipulato la convenzione accessiva al piano di lottizzazione interessante la zona omogenea D/1, in esecuzione delle deliberazioni del Consiglio comunale di adozione e di approvazione del piano attuativo;

– detta convenzione – che interessava diversi lottizzanti, tra i quali l’appellante cui venivano assegnati una serie di lotti compreso quello della presente controversia – ha previsto lo scomputo delle opere di urbanizzazione primaria e di una parte – pari al 30% dell’importo complessivo – di quelle di urbanizzazione secondaria;

-la durata della lottizzazione era fissata convenzionalmente in anni dieci e dagli atti di causa non emergono proroghe;

– con delibera del Consiglio comunale è stata approvata una variante di completamento del piano di lottizzazione, che non ha trovato seguito nella convenzione di lottizzazione;

In relazione ai permessi di costruire:

– il Comune appellato ha rilasciato all’appellante il permesso di costruire per la realizzazione dell’“Edificio produttivo Lotto n. 3”, in cui si quantificava la somma da versare quale intero contributo;

– l’appellante ha chiesto il riesame del calcolo degli oneri di urbanizzazione, cui seguiva la richiesta di una proroga dei termini per il ritiro del permesso di costruire;

– il Comune appellato ha sospeso il termine di pagamento degli oneri di urbanizzazione, per il riesame dei medesimi, effettuando un sopralluogo da cui è emerso che:

a) alcune aree a parcheggio non erano state completate mentre le altre aree a parcheggio risultavano ammalorate;

b) il tappetino di usura realizzato sulle strade risultava compromesso;

c) l’impianto di illuminazione, pur essendo stato completato, presentava alcuni pali fuori asse rispetto alla verticale in modo vistoso;

– il Comune ha confermato il calcolo degli oneri di urbanizzazione già comunicato inerenti al permesso di costruire che sono stati pertanto corrisposti dalla società appellante;

– l’istanza di riesame del calcolo del contributo di costruzione del permesso di costruire ha avuto seguito negativo;

– l’amministrazione comunale ha poi rilasciato i titoli abilitativi necessari per completare le opere di urbanizzazione i cui lavori i lottizzanti hanno dichiarato di essere ultimati.

Il Comune:

– ha approvato il certificato di collaudo definitivo “delle opere di urbanizzazione del Piano di Lottizzazione”, completate in virtù dei permessi di costruire per le opere di urbanizzazione;

– ha adottato disposizioni funzionali allo svincolo delle fideiussioni prestate dai lottizzanti a garanzia della realizzazione delle predette opere da realizzarsi dopo l’atto notarile di cessione delle aree;

– ha dichiarato di dare “esecuzione alla delibera di Consiglio comunale di approvazione del PL acquisendo le opere di urbanizzazione eseguite dai lottizzanti in conformità alla convenzione urbanistica”.

A seguito di sopralluogo, il Comune appellato ha però rilevato che non era stato ancora stipulato “un atto formale di asservimento ad uso pubblico delle aree per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria con consegna delle medesime in favore del Comune” e che, all’ingresso della lottizzazione è risultato apposto un cartello – non dal Comune – con l’indicazione “Proprietà Privata”.

L’appellante ha agito in giudizio per la ripetizione dell’importo corrisposto al Comune resistente a seguito del rilascio del richiamato permesso di costruire per la realizzazione dell’Edificio produttivo.

Con la decisione ora appellata il giudice di primo grado ha respinto il ricorso sulla scorta di una serie di argomentazioni che riguardano, principalmente, quanto segue:

– il Piano di lottizzazione ha durata decennale, di talché decorso infruttuosamente il suddetto termine lo strumento attuativo perde efficacia (cfr. Cons. Stato Sez. VI 20 gennaio 2003 n. 200; Consiglio di Stato, sez. IV, 27 aprile 2015, n. 2109; idem 25 luglio 2001 n. 4073);

– è irrilevante, ai fini delle conseguenze connesse alla scadenza del termine decennale di efficacia del piano di lottizzazione, la circostanza che l’impossibilità della mancata attuazione sia dovuta alla pubblica amministrazione o al privato lottizzante (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 agosto 2011 n. 4761);

– il termine massimo di dieci anni di validità del piano di lottizzazione, stabilito dall’art. 16, comma 5, della L. 17 agosto 1942 n. 1150 per i piani particolareggiati, non è suscettibile di deroga neppure a seguito di accordo delle parti e decorre dalla data di completamento del complesso procedimento di formazione del piano attuativo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 11 marzo 2003 n. 1315). Ciò in quanto la convenzione è un atto accessorio al Piano di lottizzazione, deputato alla regolazione dei rapporti tra il soggetto esecutore delle opere e il Comune con riferimento agli adempimenti derivanti dal Piano medesimo, che non può incidere sulla validità massima, prevista dalla legge, del sovrastante strumento di pianificazione secondaria (cfr. Consiglio di Stato n. 1574/2013);

– il termine stabilito per l’esecuzione del piano di lottizzazione, diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso;

– nell’ipotesi in cui l’amministrazione abbia rilasciato il titolo edilizio dopo anni dalla maturata scadenza del termine di durata del piano di lottizzazione e della relativa convenzione (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 29 febbraio 2016, n. 406), una volta scaduto il termine di efficacia della convenzione, il Comune non può in ogni caso ritenersi vincolato a riconoscere agli esborsi sostenuti dallo stesso lottizzante per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione carattere integralmente sostitutivo rispetto al contributo concessorio.

Sulla scorta di quanto sopra, il giudice di primo grado ha ritenuto che:

– la pianificazione è scaduta;

– il permesso di costruire è stato rilasciato successivamente all’intervenuta scadenza della convenzione e a quell’epoca le opere non erano completate;

– l’approvazione del collaudo non può ritenersi una conseguenza degli effetti del piano, perché ormai definitivamente scaduto essendo piuttosto finalizzato allo svincolo delle fideiussioni; detto provvedimento, ha ritenuto il giudice di primo grado, ha la funzione di prendere atto dell’ultimazione e del collaudo delle opere di urbanizzazione concretamente eseguite, al fine di procedere allo svincolo delle garanzie, ma non integra l’accertamento della corretta attuazione del piano di lottizzazione del 1990 ai fini dello scomputo degli oneri di urbanizzazione.

Quanto alla azione di ingiustificato arricchimento il giudice di prime cure ha ritenuto:

– il ricorrente non ha dimostrato l’arricchimento di una parte ed il depauperamento dell’altra nonché l’utilità delle opere realizzate non rilevando, tra l’altro, il richiamato atto di collaudo del Comune appellato che è atto prodromico alla destinazione a fini pubblici;

– non vi sono elementi per ritenere che le opere di urbanizzazione primaria siano già nella titolarità del Comune e siano oggetto di un provvedimento di destinazione all’uso pubblico o, comunque, oggettivamente e concretamente destinate a tale uso.

Parte appellante propone ora ricorso con un unico motivo.

Il motivo è infondato.

Preliminarmente occorre rilevare che le diverse questioni di rito, proposte dal Comune appellato, sono assorbite in considerazione dell’infondatezza del ricorso.

Preliminarmente occorre rilevare come l’azione di ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 c.c. ha il fine di consentire l’indennizzo a carico di colui che si è arricchito a danno di un’altra persona; si tratta di una finalità equitativa mediante la quale si ristabilisce l’equilibrio patrimoniale tra le parti sebbene tra le stesse non sia intercorso un precedente rapporto contrattuale.

Come evidenziato dalla giurisprudenza della Cassazione (Cass. Civile, sez. unite 26 maggio 2015, n. 10798) la regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati né spostamenti patrimoniali ingiustificabili trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell’ente pubblico.

Peraltro, nel caso specifico, la convenzione è scaduta né sono intervenute delle proroghe e pertanto non può esplicare effetti.

Come da giurisprudenza consolidata, la scadenza della validità del piano di lottizzazione determina il venir meno dei presupposti dello ius aedificandi e della posizione qualificata del lottizzante e comporta l’inefficacia di tutte le previsioni del piano di lottizzazione che non hanno avuto concreta attuazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 4 giugno 2013, n. 3055).

Ne consegue che nell’ipotesi di scadenza della lottizzazione si riespande l’originario ius aedificandi con i caratteri primigeni; la scadenza del piano relativo implica la riappropriazione, da parte del Comune, dei suoi poteri d’ordinamento e di gestione del territorio con il connesso obbligo dei proprietari dei singoli lotti inedificati, insistenti nel comprensorio di un piano di lottizzazione ormai scaduto, al pagamento degli oneri di urbanizzazione, qualora la concessione edilizia sia assentita in via del tutto autonoma da tale programma costruttivo (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 15 maggio 2001 n. 2699).

In particolare, l’appellante fonda la propria censura, relativamente all’arricchimento, postulando la natura definitiva della determinazione, da intendersi come conclusione della convenzione.

Al riguardo occorre considerare che la convenzione ormai scaduta dispone (art. 11) che diventeranno di uso pubblico gli impianti una volta accertata l’esecuzione a regola d’arte; dalla data del trasferimento al Comune questi ne assume l’obbligo di manutenzione ordinaria e straordinaria.

Il momento pertanto rilevante non è tanto il collaudo di cui alla determinazione quanto l’acquisto da parte dell’ente locale e la destinazione ad uso pubblico e dunque l’atto che tutto ciò consenta, atto a tutt’oggi non intervenuto.

Detta determinazione, allo stato, non determina alcun effetto traslativo ponendo piuttosto il presupposto per i successivi atti – compreso l’eventuale atto notarile – come la medesima determinazione dispone; atto che a quanto consta non è stato stipulato in considerazione anche della non corrispondenza tra la convenzione, sebbene scaduta e quanto con detto atto si intenderebbe trasferire, come si evince dalla corrispondenza con lo studio notarile di cui al richiamato allegato.

Peraltro, nel caso specifico, come emerge dagli atti di causa, l’utilizzo pubblico è impedito risultando apposto il cartello “proprietà privata” (non dal Comune, come lo stesso dichiara non contestato) e risultando la strada pertanto non legittimamente fruibile dalla cittadinanza.

In conclusione, il dato di pregnante rilievo è che non è intervenuto l’effettivo arricchimento perché i beni non sono effettivamente entrati nel patrimonio dell’appellato Comune e quindi è carente quella finalità equitativa perseguita dall’art. 2041 c.c.; solo quando eventualmente ciò avverrà, si potrà valutare l’onere restitutorio da parte del Comune a titolo di arricchimento senza causa.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione.