Sull’omogeneità urbanistica nella cessione di cubatura, di Fabio Cusano

Il TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 1 ottobre 2024, n. 3213, ha ribadito che il trasferimento di cubatura presuppone omogeneità urbanistica: i fondi devono essere caratterizzati dalla stessa destinazione d’uso territoriale e omogeneità edificatoria e avere identico indice di fabbricabilità originario. Se così non fosse sarebbe evidente il pregiudizio per l’attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici. Ove fosse consentito l’asservimento di un terreno avente un indice di fabbricabilità più vantaggioso di quello proprio del terreno asservente, ovvero avente una diversa destinazione, le esigenze di pianificazione urbanistica – che avevano presieduto alla scelta amministrativa di differenziare gli indici di edificabilità dei due fondi, ovvero la loro stessa destinazione – rimarrebbero infatti inevitabilmente insoddisfatte. Inoltre, l’istituto del silenzio assenso non può trovare applicazione nel caso in cui la richiesta di permesso di costruire presupponga una preliminare valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la delocalizzazione dei diritti edificatori. La formazione del silenzio assenso sulla domanda di permesso di costruire postula infatti che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità, non determinandosi ope legis l’accoglimento dell’istanza ogniqualvolta manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma, fermo restando che il silenzio assenso non può formarsi in assenza della documentazione completa prescritta dalle norme in materia per il rilascio del titolo edilizio. L’eventuale inerzia dell’Amministrazione nel provvedere non può far guadagnare all’interessato un risultato che lo stesso non potrebbe mai conseguire in virtù di un provvedimento espresso.

La società ricorrente, premesso di essere proprietaria di un appezzamento di terreno, ha impugnato il provvedimento con cui il Comune ha definitivamente rigettato l’istanza diretta ad ottenere il permesso di costruire un fabbricato tramite delocalizzazione di cubatura, ritenendo che la delocalizzazione dei diritti edificatori non è ammessa in area destinata a verde pubblico attrezzato (oggi area bianca). 

Con i primi due motivi, la società ricorrente sostiene che, poiché sul terreno indicato dal progetto sarebbero scaduti i vincoli volti all’esproprio che fissavano la destinazione a verde pubblico attrezzato, andrebbe assentita l’edificazione prevista dall’art. 9 del T.U. Edilizia con riguardo alla c.d. “zona bianca”. Per l’effetto, dovrebbe essere consentita anche la delocalizzazione di volumetrie.

Dette censure sono infondate per le ragioni di seguito illustrate. 

Come chiarito dal Consiglio di Stato “il trasferimento di cubatura presuppone omogeneità urbanistica: i fondi devono essere caratterizzati dalla stessa destinazione d’uso territoriale e omogeneità edificatoria e avere identico indice di fabbricabilità originario. Se così non fosse sarebbe evidente il pregiudizio per l’attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici; pregiudizio ancora più manifesto ove fosse consentita la “cessione di cubatura” fra terreni aventi diversa destinazione urbanistica ovvero diverso indice di edificabilità; essendo, infatti, evidente che ove fosse consentito l’asservimento di un terreno avente un indice di fabbricabilità più vantaggioso di quello proprio del terreno asservente, ovvero avente una diversa destinazione, le esigenze di pianificazione urbanistica che avevano presieduto alla scelta amministrativa di differenziare gli indici di edificabilità dei due fondi, ovvero la loro stessa destinazione, rimarrebbero inevitabilmente insoddisfatte”; anche la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato identifica gli ulteriori due presupposti nella contiguità territoriale e nella possibilità che gli stessi strumenti urbanistici vietino, in via immediata e diretta, tali operazioni per alcune aree oppure adottino scelte sui limiti di volumetria che conducano a un esito analogo (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 31/05/2022, n. 4417).

Orbene nel caso di specie non è dato ravvisare alcuna compatibilità tra i caratteri della zona agricola e le c.d. aree bianche (malgrado per queste ultime sia previso un modesto indice di edificabilità), stante l’impossibilità di assimilare le diverse destinazioni dei due fondi e, più precisamente, dei volumi in essi realizzabili; come evidenziato dal C.G.A.R.S. (sentenza n. 45/2021), “l’asserita compatibilità fra destinazione del fondo cedente e destinazione del fondo ricevente sconta la diversità fra zona residenziale [..] del terreno cedente (la cui destinazione urbanistica è poi mutata a seguito della cessione di cubatura, essendo ricompresa ora in zona “E1”, destinato al verde agricolo) e la situazione della zona ricevente, priva di qualificazione pianificatoria e destinata, sulla base del progetto presentato da Ad., a contenere edifici commerciali e, in parte minore, culturali. Ciò specie se si considera che l’art. 23 ter d.P.R. n. 380/2001 qualifica quale mutamento rilevante quello che intercorre fra la zonizzazione in termini di area residenziale, oppure turistico-ricettiva, oppure produttiva e direzionale, oppure commerciale o, ancora, rurale”.   

In sostanza, non è possibile impiegare un volume ab origine destinato a finalità agricole per realizzare un fabbricato ad uso residenziale.

Da quanto fin qui esposto discende da un lato che non può trovare accoglimento l’invocata disapplicazione del regolamento formulata dalla parte ricorrente non ravvisandosi alcuna antinomia rispetto alle fonti di rango superiore; dall’altro che la circostanza secondo la quale il fondo “di atterraggio” ricada nel regime delle aree bianche non è idoneo a superare la questione del difetto di compatibilità tra la destinazione dei due fondi, secondo una valutazione legittimamente effettuata a monte in sede regolamentare e radicalmente ostativa alla delocalizzazione, indipendentemente dalle caratteristiche in concreto presentate dai fondi limitrofi.

Infine, destituito di fondamento è il terzo motivo di gravame, posto che l’istituto del silenzio assenso non può trovare applicazione nel caso in cui la richiesta di permesso di costruire, come nel caso in esame, presupponga una preliminare valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la delocalizzazione dei diritti edificatori.

Ed invero secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non v’è motivo di discostarsi, «la formazione del silenzio assenso sulla domanda di permesso di costruire postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità, non determinandosi ope legis l’accoglimento dell’istanza ogniqualvolta manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma, fermo restando che il silenzio assenso non può formarsi in assenza della documentazione completa prescritta dalle norme in materia per il rilascio del titolo edilizio. Ciò in quanto l’eventuale inerzia dell’Amministrazione nel provvedere non può far guadagnare all’interessato un risultato che lo stesso non potrebbe mai conseguire in virtù di un provvedimento espresso; e tanto perché il silenzio equivale al provvedimento amministrativo e ciò non incide in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio, che rimane inalterato, ma introduce una modalità semplificata di conseguimento dell’autorizzazione. Sul punto la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che: a) “ai sensi dell’art. 20, comma 8, D.P.R. n. 380 del 2001, il silenzio assenso previsto in tema di permesso di costruire non si forma per il solo fatto dell’inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell’Amministrazione e dell’adempimento degli oneri documentali necessari per l’accoglimento della domanda, ma occorre altresì la prova della sussistenza di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi a cui è subordinato il rilascio del titolo edilizio, tra i quali rientra, dal punto di vista oggettivo, la conformità dell’intervento progettato alla normativa urbanistico-edilizia. (Consiglio di Stato, Sez. IV, 07/01/2019, n. 113; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 07/01/2019, n. 11; T.A.R. Lazio Roma, Sez. II bis, 16/09/2019, n. 11003).

b) non può formarsi il silenzio assenso sull’istanza di permesso di costruire quando difettino i presupposti della richiesta attività edificatoria ovvero quando l’istanza non è accompagnata da tutti i requisiti previsti dalla legge potendo, in tal caso, il Comune provvedere negativamente anche con provvedimento tardivo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12/07/2018 n. 4273; Cons. Stato, sez. IV, 05/09/2016 n. 3805)» (T.A.R. Palermo, sez. II, 31/03/2020, n. 690; in termini: T.A.R. Napoli, sez. II, 05/01/2023, n. 117).

Dal momento che, per le ragioni in precedenza esposte, l’istanza di parte ricorrente difetta dei requisiti per l’accoglimento – sotto il profilo, qui trattato, della delocalizzazione di cubatura ed impregiudicata ogni valutazione circa ulteriori profili quali, ad esempio, la sussistenza di vincoli sull’area – alcun provvedimento tacito di assenso avrebbe potuto formarsi sull’istanza della società ricorrente.

In conclusione, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso è infondato e va respinto.